Amministrazioni pronte al “nudging”?

Rigenerazione urbana e nudging: questi i due termini chiave dell’ultimo incontro del cantiere dedicato alle partnership pubblico-pubblico e pubblico-privato all’interno del progetto interreg “Governa Ti-Va”, volto al rafforzamento della governance transfrontaliera attraverso lo sviluppo di competenze e modelli di governo locale.

Gli interventi mi hanno fatto doppiamente piacere.

In primo luogo perché mi è parso di raccogliere una definizione di “governance” finalmente schietta, non più ubriacata da un turbine di frasi altisonanti, ma incapaci di rappresentare scene di vita reale. Con il nudging si è sdoganata l’idea che l’azione di governo non si conduce più solamente attraverso la promulgazione di regole, ma chiama in causa la capacità di esercitare “spinte gentili” verso l’adozione di comportamenti che siano auspicabili per il ben-essere della comunità.

In fondo una politica, una policy, è questo: un sistema di interventi (regole, incentivi, campagne di comunicazione, servizi, infrastrutture, …) orientati a promuovere un determinato comportamento in gruppi sociali mirati. Può suonare poco politically correct, ma sicuramente molto pragmatico. E responsabilizzante per chi deve decidere.

Si tratta di una definizione che non solo è chiara, ma è anche coerente (e questa è la seconda ragione di soddisfazione) con quanto vado discutendo con i partecipanti ai corsi di public management e strategia degli enti pubblici. Il nudging, divenuto famoso anche grazie al premio Nobel attribuito a Richard Tahler nel 2017, ha aperto la strada alla behavioral public administration, filone di ricerca che in un certo senso arricchisce le potenzialità della public governance. Quelle che sembravano provocazioni sui cambiamenti di pelle delle amministrazioni pubbliche oggi stanno traducendosi in pratica quotidiana.

Ma attenzione: il cambiamento è ben più profondo di quanto si pensi. Non si tratta, infatti, di aggiungere semplicemente nuovi strumenti alla cassetta degli attrezzi di chi opera nelle amministrazioni pubbliche. C’è un cambiamento di prospettiva che chiama in causa questioni ontologiche, epistemologiche e deontologiche. 

 

Mi viene in mente la scena del film “Thirteen days” in cui il segretario alla difesa Robert McNamara discute duramente con l’Ammiraglio George Whelan Anderson Jr., capo delle operazioni navali. L’ammiraglio dà ordine di sparare alcuni colpi a salve contro un cargo russo che sta per violare l’embargo contro Cuba, durante la celebre crisi dei missili. McNamara e Anderson leggono la situazione da due prospettive molto diverse.

Anderson vede la situazione da una prospettiva modernista, come la definirebbero i teorici dell’organizzazione: c’è una realtà oggettiva in cui lui interviene applicando procedure di ingaggio prestabilite. McNamara, invece, indica la mappa in cui sono rappresentate le operazioni militari e ne dà un significato inusuale: quella mappa non è la rappresentazione di una realtà oggettiva, ma un canale di comunicazione tra Kennedy e Kruschev, da cui dipende se ci sarà o meno una guerra nucleare. McNamara adotta una prospettiva simbolica: non esiste una realtà oggettiva, uguale per tutti, ma un sistema di rappresentazioni, di attribuzioni di significato, che, se non allineate attraverso la comunicazione, rischiano di innescare risultati indesiderati da tutti.

Le tecniche di nudging, la public governance, la behavioral public administration, il design thinking, la citizens experience, le iniziative di partecipazione, se abbracciate a partire da una prospettiva modernista affascinano perché sembrano far balenare nuove possibilità di controllo, di manipolazione, di potere. Possibilità che possono funzionare nel breve termine, ma avranno un effetto boomerang molto forte sulla fiducia sociale e sulla coesione della comunità nel medio-lungo periodo.

Se, invece, si adotta una prospettiva simbolica, esse diventano davvero occasioni proprio per costruire fiducia, coesione e mobilitare all’impegno civico. Come? Favorendo quella comunicazione profonda e onesta che aiuta le persone a capire fino in fondo le effettive esigenze degli altri e a trovare soluzioni “win-win”, come avrebbe detto Mary Parker Follett.

Una rigenerazione urbana non è mai una semplice questione di mattoni, cemento e aree verdi. Il paesaggio è come la mappa di McNamara: un sistema di simboli che possono essere interpretati in modo anche molto diverso dai diversi soggetti in gioco.

Nell’incontro, si è portato l’esempio di demolizioni di alcuni edifici fatiscenti che sono state realizzate nella città di Varese. Gli spazi lasciati liberi sono stati destinati a parcheggio, in attesa che maturino idee valide su come impiegarli. Sindaco, assessore e dirigenti spiegavano come, più che alla nuova funzione, badassero al significato simbolico dell’iniziativa. Contano che il messaggio che “qualche cosa sta cambiando” sia percepito dai cittadini di Varese e, grazie a questo messaggio, si attivino comportamenti utili a promuovere il cambiamento.

Ora, se con convinzione si vuole intraprendere questa nuova modalità di governo, di governance, allora bisogna anche adeguare compiti e saperi dell’amministrazione pubblica, che questa nuova modalità la deve poi tradurre in pratica.

Due sono, a mio avviso, le nuove capacità da cui partire. 

La prima è la capacità di ascolto. Per essere efficaci, occorre essere capaci di raccogliere e interpretare segnali e informazioni. Fin troppo evidente è il collegamento con i temi della data governance e della business (o meglio “government”) intelligence. La mole di dati raccolta attraverso gli strumenti digitali può offrire opportunità notevoli per capire, monitorare, per potenziare azioni e servizi, per comunicare. Non sono, però, solo i dati quantitativi ad aiutare. Per intendere quale significato sia effettivamente attribuito dai cittadini alle demolizioni possono essere molto utili gli strumenti di ricerca qualitativa, dell’etnografia, della semiotica. Sarebbe utile non solo sperare che “il messaggio passi”, ma anche verificarlo e, meglio ancora, co-costruirlo.

La seconda capacità è quella di analisi dei rischi. In questa fase pionieristica del nudging e strumenti connessi, il rischio di ricadere in una prospettiva modernista è forte. Un’analisi dei rischi intesa come capacità di auto-riflessione sulle implicazioni delle proprie scelte e azioni è doverosa, per non ritrovarsi a camminare su quella “via verso l’Inferno lastricata di buone intenzioni” verso cui la saggezza popolare ci mette i guardia.

Avranno voglia, le amministrazioni, di fare questo salto carpiato rispetto al modo di intendere il loro ruolo e la loro azione? Non ci resta che osservare. E se crediamo che sia una opportunità, dare una mano per sostenere il cambiamento.