Giorgio Spanu: Il pensiero di G.D. Romagnosi

Il libro di Giorgio Spanu[1], che ho appena finito di leggere, mi ha offerto alcuni buoni spunti e alcune conferme per capire meglio il pensiero del buon Gian Domenico Romagnosi (1761-1835).

La simpatia per questo Autore viene innanzitutto dal fatto che, pur a 200 anni di distanza, ci arrovelliamo sugli stessi problemi, pensando allo sviluppo delle comunità: ci sentiamo discepoli di quella materia da lui definita “filosofia civile”, che cerca di capire quelle dinamiche che portano le comunità ad essere in uno stato di sviluppo. E capendo le dinamiche, si può magari sperare di poter fare qualche cosa per rimettere in careggiata anche quelle comunità che sembrano piuttosto essere in una fase involutiva.

E sul riconoscere alcune di queste dinamiche, ci troviamo d’accordo.

Romagnosi parla di “incivilimento” quando noi parliamo più comunemente di “sviluppo”. Per lui lo sviluppo/incivilimento è essenzialmente una questione di cultura collettiva, una questione di valori diffusi in una società, che fanno prevalere comportamenti utili alla coesione sociale, allo sviluppo economico, al buon governo. Ricerche relativamente recenti[2]hanno dimostrato la stretta correlazione tra valori della cultura collettiva e performance economica: i dati dimostrano che l’intuizione di Romagnosi è valida anche oggi.

Oggi si parla di fiducia sociale quale condizione essenziale di sviluppo. Per Romolo Alecci[3], uno dei commentatori di Romagnosi, citato nel libro di Spanu,

“si avrà un incivilimento apprezzabile soltanto quando gli individui si ameranno e rispetteranno a vicenda, saranno operosi, cordiali; quando la pubblica equità proteggerà il debole, assocerà in libero affratellamento le professioni, i gradi, le classi; quando verrà assegnato a ciascun cittadino un adeguato lavoro.”

L’incivilimento romagnosiano già integra la fiducia e suggerisce che si può parlare di amore tra gli individui.

La dottrina dell’incivilimento, dunque, si sostanzia nella costruzione di condizioni che favoriscano rapporti tra i membri della comunità che siano ispirati all’amore. Per questo Romagnosi, a differenza del quasi coevo Immanuel Kant, attribuisce allo Stato, manifestazione visibile della comunità, non solo il compito di difendere i diritti individuali, ma anche di promuovere il benessere delle persone sotto il profilo economico, morale e politico. Parlando di incivilimento, Romagnosi “sdogana” un’azione di governo che vada oltre la sola tutela della giustizia, e si faccia carico di promuovere la prosperità sociale. E questa azione dello stato la identifica come un’opera di “grande educazione”. Anche noi siamo giunti a collegare il tema dello sviluppo al tema dell’educazione, a vedere le politiche di sviluppo come politiche di apprendimento.

Romagnosi dimostra una visione organicistica della società: la società (o, per noi, “comunità”) è a tutti gli effetti una persona morale, con anche diritti propri, separati da quelli degli individui che la compongono. Una visione organicistica (piuttosto che, ad esempio, meccanicistica) implica avere una più spiccata attenzione al benessere della persona-comunità in sé. Significa avere una rinnovata attenzione per il benessere di tutte le sue membra, quale condizione per il benessere generale.

Il fatto che Romagnosi riconosca la società-comunità come una persona a sé non significa che sottovaluti il ruolo e gli interessi degli individui che la compongono. Anzi. A differenza di Rousseau che vedeva nel contratto sociale il trasferimento di tutta la sovranità allo stato, anche a sacrificio degli interessi individuali, Romagnosi ci tiene a smarcarsi e ad affermare con forza che i diritti e gli interessi degli individui non possono essere in nessun caso sacrificati per il bene del tutto. La società rimane un mezzo per facilitare il raggiungimento di obiettivi individuali. Il contratto sociale si giustifica con l’opportunità di creare “colle forze individuali unite la potenza sociale per ottenere la migliore esistenza degli individui”[4].  Il bene dell’individuo viene prima di tutto. In questo, si schiera nettamente a favore dello stato liberale, piuttosto che dello stato giacobino.

Rimane un individualista e un utilitarista. E’ l’utile che guida le scelte. Possiamo aggiungere al suo pensiero (che condividiamo!) due osservazioni. La prima: la ricerca dell’utile è, in fin dei conti, strettamente legata allo spirito di sopravvivenza, alla stessa esistenza in vita degli individui. Ciò non vuol dire che l’utile sia meramente economico. Perseguire la felicità non significa perseguire il mero arricchimento.

La seconda. Romagnosi afferma che non si può prescindere dal fare in modo che l’interesse individuale si identifichi con l’interesse sociale. Se ci fosse divergenza, il primo deve prevalere sul secondo. In realtà l’interesse sociale può essere interpretato come interesse individuale di più lungo periodo. L’impegno, anche il sacrificio individuale per la comunità non sono una negazione del principio utilitarista, ma semmai una dimostrazione di lungimiranza nel perseguire il proprio utile personale. Dal buon andamento della comunità dipende la possibilità di tutelare il proprio utile individuale anche nel futuro.

Il libro di Spanu motiva a rileggersi in versione originale almeno due opere della bibliografia romagnosiana:

 

[1] Spanu G. (2008). Il pensiero di G.D. Romagnosi. Un’interpretazione politico-giuridica. Franco Angeli, Milano.

[2] Si veda ad esempio: Tabellini, G. (2010). Culture and Institutions, Economic Development in the Regions of Europe. Journal of the European Economic Association 8(4), 677–716

[3] Alecci R. (1966), La dottrina di G.D. Romagnosi intorno alla civiltà, Cedam, Padova

[4] Romagnosi G.D. (1849), La scienza delle Costituzioni, S. Bonamici e compagni, Losanna. (p. 340)